Un brevetto appena pubblicato – e ripreso da SEO by the Sea -, riporta l’attenzione sulla personalizzazione dei risultati della ricerca, partendo dai profili di Google e dall’influenza che questi possono avere su ciò che il motore restituisce. Uno scenario, questo, in cui Google+ ha tutte le carte per giocare un ruolo da protagonista. Ma è tutto qui? Bastano gli interessi palesati da un utente su Google+ per personalizzare la ricerca in misura soddisfacente?
La ricerca personalizzata nasce dall’idea di restituire ad ogni utente i risultati più “adatti” a lui. Ciò significa: dargli le risposte che cerca, subito. Ma è altrettanto vero che gran parte delle query si compongono di appena 2-3 parole e in mancanza di un organizzazione precisa dei contenuti – per pertinenza e importanza -, il ricercatore rischierebbe di trovarsi sopraffatto dalla mole di risultati.
“La qualità dei risultati di ricerca va valutata sulla base della soddisfazione degli utenti”, recita il brevetto. “Quando le preferenze dell’utente in riferimento ad una query coincidono con quelle di un navigatore casuale [random surfer – paragrafo 2.1.2 sul brevetto del Page Rank ndt], la probabilità che egli sia soddisfatto dei risultati è alta. Se le preferenze vengono influenzate da alcuni fattori personali, o se le preferenze dell’utente circa una query sono molto diverse da quelle di un utente casuale, i risultati di ricerca del motore di ricerca diventano meno utili, se non inutili”.
Un motore di ricerca, quindi, non dovrebbe rendere più difficile la ricerca degli utenti. Tutto il contrario, semmai.
A determinare la personalizzazione dei risultati basata sui profili di Google, potrebbero esserci questi fattori:
- Query di ricerca precedentemente inserite dall’utente
- Link da/ai contenuti scelti nelle query precedenti
- Contenuti a campione dai documenti identificati
- Informazioni personali implicitamente o esplicitamente inserite dagli utenti
Un esempio, può essere un utente effettua ricerche relative ad uno smartphone in particolare. E inoltre visita altre pagine relative all’argomento “smartphone”, postando anche qualcosa su Google+. Questi elementi dovrebbero concorrere alla personalizzazione dei risultati.
Ma la questione non si chiude naturalmente qui. I passi coinvolti nella personalizzazione potrebbero essere:
- Il motore di ricerca riceve una query dal visitatore
- Il motore di ricerca identifica una serie di documenti corrispondenti alla query
- Inizialmente l’ordinamento delle pagine tiene conto del PageRank e della pertinenza dei contenuti con la query inserita
- Il motore di ricerca genera anche un profilo “personalizzato” (probabilmente prima della ricerca in questione) per il ricercatore e correla il profilo utente con ciascuno dei documenti identificati
- La correlazione tra i documenti e il profilo utente genera un rank per ogni documento, indicandone la pertinenza in relazione al ricercatore
- Il motore di ricerca unisce un rank generico di ogni documento, con un rank legato al profilo
- I documenti vengono riordinati sulla base del rank personalizzato e visualizzati
Invece di utilizzare un singolo focus per un profilo utente, tali profili potrebbero essere costituiti da una serie di sotto-profili, ciascuno dei quali in grado di influenzare la ricerca:
Term-based profile: comprende un certo numero di termini, ognuno dei quali con una importanza indicativa rispetto agli altri.
Category-based profile: con più categorie, eventualmente organizzate in una mappa gerarchica.
Link-based profile: comprendente una serie di link che potrebbero essere direttamente o indirettamente collegati a pagine o documenti individuati nella cronologia delle ricerche di un utente, con ogni collegamento che ha un peso a indicare l’importanza del legame (come il PageRank).
Il brevetto in questione è “Personalization of Web Search Results Using Term, Category, and Link-Based User Profiles” (di Stephen R. Lawrence), pubblicato il 13 Settembre 2012.
“Il profilo utente è basato sulle query di ricerca presentate da un utente e dalla specifica interazione dell’utente con i documenti identificati dal motore di ricerca e le informazioni personali fornite dall’utente. I termini per il profilo utente possono essere scelti tra i documenti accessibili dall’utente, eseguendo campionamento paragrafo o di contesto.
I punteggi generici associati ai risultati della ricerca sono modulati dal profilo utente per misurare la loro rilevanza. I risultati della ricerca vengono riordinati di conseguenza, in modo che i risultati più rilevanti appaiano in cima alla lista. I profili utente possono essere creati e/o memorizzati lato client o lato server o in una ambiente di rete client-server.
È chiaro come la cronologia delle ricerche rivesta un ruolo fondamentale per Google, nella personalizzazione dei risultati di ricerca. Al tempo stesso, tuttavia, è molto probabile che Google+ venga utilizzato in questo processo, poiché da qui Big G riuscirebbe a ricavare informazioni personali sugli utenti in maniera semplice.
Dell’argomento abbiamo parlato anche con Giorgio Taverniti:
Siamo abituati a pensare che la personalizzazione delle ricerche, per tutto quello che riguarda lo storico utente, sia effettuata solo per gli utenti loggati a Google attraverso GMail. In realtà, se sono abilitati i cookie sul browser dell’utente, anche se non si è loggati Google traccia l’utente utilizzando la cronologia delle ricerche effettuate fino a 180 giorni, proprio attraverso i cookie. Ovviamente, se l’utente utilizza lo stesso computer e lo stesso browser, la cronologia delle ricerche che effettua da non loggato NON andrà a influenzare le ricerche dopo che l’utente si logga.
Una grandissima influenza sulla personalizzazione delle ricerche la ha Google Plus per tutto quello che è il ramo di Social Search. A questo indirizzo è possibile comprendere tutte le tipologie di connessioni che Google individua tra noi ed un’altra persona: https://support.google.com/plus/bin/answer.py?hl=it&answer=1254206
Voi che ne pensate?