“Posso ritenermi fortunato, perchè faccio un lavoro che amo e attorno a questa passione ho anche costruito un’azienda che raccoglie chi, come me, vede nei motori di ricerca un’appassionante sfida quotidiana”. Lui è Marco Loguercio, fondatore nel 2002 di SEMS, azienda che ha guidato per dieci anni, “per poi farla camminare con le proprie gambe”.
Alla luce della sua uscita dai ranghi dell’azienda, era d’obbligo ascoltare esperienze e opinioni di uno dei più autorevoli esperti italiani nell’universo del Search Marketing. Abbiamo così deciso di intervistarlo sul SEOblog GT.
Ciao Marco e benvenuto sul SEOblog GT, presentati ai nostri lettori dandoci una tua definizione di SEO da aggiungere alla nostra collezione.
Nella mia visione delle cose, SEO è l’arte e la scienza di comprendere cosa gli utenti vogliano ottenere – e quali azioni vorrebbero intraprendere dopo -, quando cercano online, e guidare, anche operativamente, chi è in grado di fornire una risposta (un’informazione, un servizio, un prodotto…) a raggiungere questi utenti attraverso i risultati di ricerca con i contenuti (testi, foto, video, user generated content…) e le call to action più adatte in funzione anche del contesto, del luogo e dello strumento utilizzato dall’utente per navigare e cercare. Concordo poi con quanti ritengono che non si debba più parlare di ottimizzazione per il motore, bensì per l’esperienza di ricerca dell’utente.
Hai fondato una delle più note agenzie di Search Marketing Italiane nel 2002. Che aria tirava a quei tempi?
Eravamo nel pieno delle conseguenze dovute allo scoppio della prima bolla speculativa di Internet. Tutto quello che era Web era visto di cattivo occhio e gli investimenti in marketing e advertising online erano crollati in tutto il mondo… tranne che nell’ambito della Search.
C’era un problema di credibilità di Internet e di stallo quasi totale sull’innovazione e sugli investimenti necessari per fare innovazione, ma questo non significava che gli italiani non navigassero online: non solo cresceva il numero di italiani che accedevano al Web e accedevano sempre più spesso, ma cresceva anche il numero di coloro che usavano i motori di ricerca, e si affidavano alle ricerche nei motori per prendere decisioni sempre più importanti e impattanti anche sul loro modo di essere e sulla loro vita (iniziando a usare Google per saperne di più sulle malattie, ad esempio). C’era quindi una grande opportunità da poter cogliere nel lanciare una nuova agenzia.
Ma per darti più concretamente un’idea dell’aria che si respirasse a quei tempi, ho dovuto girare 4 istituti di credito per trovarne uno disposto ad aprire un conto corrente a questa nuova società che si occupava di search marketing (ovviamente, per spiegarlo loro, dovevo usare altri termini). E tieni presente che non stavo chiedendo prestiti, fidi o altro; stavo solo chiedendo un conto corrente dove far arrivare i pagamenti dei tanti clienti e partner che già avevo in portafoglio.
Tu che sei stato membro attivo in SEMPO pensi che organizzazioni come questa siano davvero utili al settore?
SEMPO da noi è stata un’occasione persa, e mi metto tra i primi responsabili di non essere riuscito a far percepire il valore di una associazione del genere anche nel nostro paese. Premetto che già prima di SEMPO, in Italia, c’erano stati alcuni tentativi di creare una associazione che contribuisse a dare credibilità alla nostra industry, ma senza successo: siamo troppo campanilisti, guardiamo troppo al nostro giardinetto senza comprendere che, lavorando assieme, il mercato potrebbe crescere sensibilmente e portare più opportunità a tutti.
Un supporto che, secondo me, SEMPO avrebbe potuto dare anche in Italia è quello della formazione: ci lamentiamo della carenza di skill nel digitale, e nella Search in particolare, ma poi manca un’offerta formativa di alto profilo, concreta, di qualità, che non sia legata all’iniziativa di realtà che però, troppo spesso, sono guidate esclusivamente da fini economici. Fortunatamente ci sono state delle iniziative di aggregazione, come il Forum GT e le iniziative correlate di formazione, che hanno limitato il problema favorendo la condivisione delle informazioni, che hanno in parte sopperito a una formazione più “istituzionale”.
Sei un SEO di lunga data. Quanto è cambiata la SEO in questi anni? Raccontaci un po’ come si faceva Search Engine Marketing nei tuoi primi anni di attività e quali sono stati i momenti principali che secondo te hanno segnato una svolta nel nostro settore.
Qui potrei stare giorni a raccontare aneddoti!
Considerando che ho iniziato a interessarmi di visibilità nei motori nel 1996, la ragione per la quale, dopo quasi 18 anni, non mi sono ancora stufato è perchè la SEO non è mai stata uguale a sé stessa per più di tre o quattro anni. I tanti “necrologi della SEO” che ho letto in tutti questi anni erano necrologi di una certa impostazione SEO che, nella realtà, stava giustamente evolvendo. E la sfida è sempre quella di guardare avanti per cercare di capire quale potrà essere la direzione da prendere, per anticipare i cambiamenti e non “subirli”.
La considerazione più banale è che, in tutti questi passaggi ed evoluzioni, fare SEO è diventato sempre più complicato ma affascinante, e le barriere d’ingresso si sono alzate non poco.
Gli anni ’90 erano quelli della SEO “industriale”: software come Webposition Gold ti consentivano di creare doorway pages che, se “azzeccavi” la giusta percentuale di parole chiave in funzione del motore di ricerca target, svettavi ovunque senza fatica. Poi è arrivato Google, e quindi un focus non più limitato allo on-page e on-site ma anche sulle relazioni (link) con l’esterno. Con Google è cresciuto anche per me il piacere di fare SEO visto che finalmente, per me che avevo fatto il giornalista freelance per 10 anni prima di dedicarmi al web marketing e i primi risultati di visibilità li avevo ottenuti proprio grazie ai contenuti, non ai “trucchetti”, fare copy di qualità diventava sempre più importante.
Ho usato anche io le redirezioni, perchè quando sono uno “standard di mercato” – come era all’epoca – non tutti i clienti sono disposti a fare più fatica per rivedere l’architettura informativa del sito, ma ricordo bene il dispiacere che provavo in molti casi a vedere contenuti che avrebbero avuto una propria dignità nascosti dietro i sistemi di redirezione più ingegnosi.
Ecco, se dovessi identificare uno dei momenti chiave dell’evoluzione della SEO su Google, è stato proprio quando Google ha imparato a smascherare le redirezioni (nei vari momenti storici attraverso meta refresh, js, microfilmati flash, cloaking…) e ha obbligato gli specialisti a lavorare “in chiaro” quando di mezzo c’erano direttamente le aziende (affiliazioni, made for adsense etc sono ovviamente altri discorsi). Trovare la quadratura del cerchio tra contenuti ottimizzati ma che siano anche di agevole lettura, persuasivi e di valore per l’utente non è infatti facile e molti non sono stati in grado di sopravvivere a questo cambiamento.
Fino ad arrivare ai Panda e Penguin dei nostri giorni, che non hanno bisogno di presentazioni e che hanno costretto tante aziende a cambiare strategia d’azione.
Quanti specialisti SEO hai visto passare in SEMS e quanti ne hai fatti crescere?
Sai che, onestamente, non ho mai fatto il conto di quante persone siano passate per SEMS nei 10 anni che l’ho guidata? E’ un po’ una mia caratteristica, sono sempre abituato a guardare avanti. Ma questo non vuol dire che non sia orgoglioso di come siano cresciuti molti SEO con i quali ho avuto modo di lavorare nella mia ex agenzia in tutti questi anni. Nel 2011, mentre ero a Riccione per il Convegno GT, non ho potuto non notare come il 20% dei relatori lavorasse o avesse lavorato in SEMS. E in alcune situazioni, mentre questi relatori usavano espressioni a me familiari, sorridevo pensando “ok, mi ha ascoltato”.
Ma non ci sono stati soltanto i SEO più “mediatici”, ce ne sono stati e ce ne sono tanti che sono più “nell’ombra” ma tosti uguale. E l’impatto che la “scuola SEMS” ha avuto sul mondo SEO italiano lo si può vedere anche da quanti di questi hanno poi lanciato le proprie agenzie o aggregazioni professionali, o si sono imposti in altre agenzie, o stanno facendo (o tentando di fare) fortuna come consulenti.
Di sicuro il processo formativo di SEMS ha aiutato persone già competenti sull’aspetto tecnico della SEO a completarsi anche su aspetti quali l’integrazione con il search advertising e con il mondo social, la gestione dei clienti e, soprattutto, una visione più “marketing oriented” delle attività. Molti specialisti sono entrati in SEMS già con le competenze su come riuscire a fare determinate cose, ma non avevano idea del perché queste cose andassero fatte (o non fatte) in funzione delle esigenze e degli obiettivi dei clienti nonchè delle aspettative degli utenti di fronte alla pagina di risultati.
Che consiglio daresti oggi a chi vorrebbe iniziare un’attività in questo settore?
Di farne il proprio lavoro solo se è anche la propria passione. Lavorare in un settore giovane e in costante evoluzione come il marketing digitale, e la search in particolare, significa dover costantemente essere al passo, doversi aggiornare e sperimentare senza sosta cercando di capire il presente per intuire il futuro. Non puoi fare tutto questo se la mentalità che ti guida è quella del “lavoratore standard”, quello che porta avanti in maniera monotona per le canoniche otto ore il lavoro solo, perché è conscio che serve a far entrare i soldi per tirare avanti. Passione, curiosità, tenacia – perché i risultati non arrivano mai al primo colpo -, forse anche un pizzico di ossessione, senza dimenticare la precisione, sono secondo me fondamentali per divertirsi facendo bene il lavoro del SEO. E poi di non scoraggiarsi se le cose non vanno subito bene, gli inizi sono sempre in salita.
Come ci si sente ad uscire da SEMS dopo dieci anni al suo timone?
È stato strano il primo giorno “post SEMS”, quando ho dovuto archiviare dieci anni della mia storia professionale. Ma non c’è stato tempo per i sentimentalismi, visto che sono stato subito sommerso da proposte professionali di tutti i tipi, e ne ho così approfittato per parlare, da indipendente, con tantissima gente, cosa utile soprattutto per capire quale direzione abbiano preso il mercato, le agenzie, le aziende e comprendere meglio come muovermi in futuro.
Quello che è vero è che mi è dispiaciuto per le splendide persone che ho lasciato, ma in quella realtà aziendale non c’erano più le condizioni per lavorare come piace a me, nel segno dell’innovazione e del reale valore per i clienti e per l’agenzia, e questa cosa la soffrivo non poco.
Qual è stato il progetto che ha maggiormente segnato la tua vita da professionista?
Il progetto che per anni abbiamo seguito per Expedia è stato un vero laboratorio di idee. Credevo nell’importanza di un team dedicato fatto di competenze tecniche e di contenuti, del quale hanno fatto parte nel tempo molti dei migliori SEO passati per SEMS, e incentrato molto sull’analisi dei dati per identificare nuovi trend e opportunità così da muoverci prima dei competitors. Questo ha portato a risultati eccezionali, riconosciuti dalla stessa Expedia che ad esempio, nel 2008, ci ha indicati come la migliore delle agenzie SEO con le quali lavorassero a livello europeo, anche se lavorare per Expedia non è stato sempre così facile come molti potrebbero credere. Molti di quei concetti, sviluppati a metà del decennio scorso, sono così attuali che sono tra le basi anche di un modello di lavoro che sto oggi affinando e che sarà alla base di un nuovo progetto d’agenzia.
Quale è stato il tuo più grande fallimento (se c’è stato) oppure un qualcosa che non rifaresti o rifaresti in modo diverso qualora potessi tornare indietro?
C’è stato un caso che mi porto dietro e che in effetti mi è servito da lezione. Credo fosse il 2005 ed eravamo stati contattati per dare visibilità a un importante portale turistico. Ovviamente eravamo stati contattati dopo che il portale era stato disegnato, realizzato e messo online, e dopo che aveva palesato tutti i suoi limiti: di decine di migliaia di schede di contenuti di cui si componeva, aveva solo sette pagine indicizzate su Google e faceva poche decine di visite al giorno.
Invano abbiamo cercato di convincere il cliente – che non aveva budget per il paid search – a portare avanti alcuni interventi decisamente impattanti sulla piattaforma (che, va detto, era condivisa con altri portali in ambiti differenti) motivandoli come necessari per liberare le potenzialità del sito.
Così ad un certo punto, invece che mollare, d’accordo col cliente abbiamo bypassato il problema con una soluzione poco “in linea” con le policy di Google ma che ritenevamo l’unica strada percorribile per convincere il committente sulle reali potenzialità dell’investimento SEO. La cosa funzionò e, sfruttando le sole potenzialità del sito (niente doorway pages o contenuti artificiali, solo qualche link nascosto per far andare gli spider in profondità nel DB del portale), le visite crebbero da poche decine a decine di migliaia. Per somma sorpresa e soddisfazione del committente.
Google però ci “pizzicò” e bannò il sito per qualche giorno, uno dei pochissimi casi nella storia di SEMS. Apriti cielo. Diventammo, ovviamente e giustamente, il capro espiatorio e, dopo qualche mese, non ci venne rinnovato il contratto. Avevamo raggiunto l’obiettivo di mostrare al cliente le potenzialità del sito se opportunamente ottimizzato, ma non ci diedero poi modo di poter fare quello che inizialmente avevamo proposto. Avevamo accettato un compromesso e ne avevamo pagato le conseguenze. E’ stata l’ultima volta che ho preso una decisione del genere, anche perchè non rappresentava la mia filosofia di lavoro.
Che progetti hai per il futuro?
Ripartirò a breve con un modello di lavoro e di agenzia che segue bene l’evoluzione del search & social marketing, anche se questa volta a livello più strategico. L’idea è piaciuta molto a quanti la ho già presentata e sono quindi più che fiducioso, tanto è vero che ho deciso di partire da indipendente, senza legarmi ad alcun gruppo, proprio per poterla concretizzare al meglio senza tutti i paletti che ti limitano quando devi lavorare in strutture caratterizzate da altre logiche.
Poi la filosofia sarà la stessa che ha reso grande SEMS: attirare talenti del marketing digitale per farli crescere e formarli accanto a specialisti di rinomata esperienza e mettere tutti nella condizione di fare il lavoro che piace loro, facendoli sentire parte attiva e non meri esecutori di task.
Cosa intravedi nel futuro per il Search Marketing?
Le opportunità offerte dai dispositivi mobili (e qui includo dispositivi che non siano necessariamente smartphones, come gli occhiali di Google) in ambito search sono semplicemente fantastiche ed è soprattutto su queste che vedo i maggiori ambiti di operatività. Molto dipenderà dal coraggio che molti player avranno di “forzare” sul tracciamento dei comportamenti e delle informazioni. È innegabile, ad esempio, che Google Now oggi sia decisamente “limitato” da Google stessa rispetto a quanto potrebbe realmente fare e suggerire con tutto quello che sa di noi.
La parte più bella del mio lavoro oggi è proprio questa: capire i comportamenti di ricerca odierni nei diversi scenari e capire come potrebbero evolversi in funzione dei device, dei servizi a disposizione, degli scenari e capire quali opportunità potrebbero aprirsi alle aziende in termini di promozione e di intelligence.
Ringrazio Marco per il tempo che ci ha dedicato.
Bella intervista, senza peli sullo stomaco. Spero che Loguercio vorrà tenervi informati sui suoi prossimi progetti: da uno come lui c’è sicuramente da imparare, e spero che la nuova direzione che intende prendere sia davvero promettente come sembra. Io aspetto qua sul blog altre novità. Intanto a lui un grosso in bocca al lupo!
FANTASTICI MERAVIGLIOSI gli occhiali di google…ma perché dovrei indossarli?
Ho sempre stimato Marco da quando l’ho conosciuto, ovvero da quando ha dato il nulla osta ad Altavilla per assumermi. Non so chi sia stato il più incosciente tra i due, ma oggi, posso solo dirgli grazie per le esperienze che mi ha permesso di vivere. Grazie Marco.